Ospito con vero piacere un pezzo del collega e amico Davide Costante, al quale vanno la mia stima e i miei ringraziamenti.

 

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"Forse è stata un'allucinazione, ma ieri sera al 39' della ripresa, ci è parso che nell'Inter giocasse Ronaldo"

 

Correva l'anno 2001, Facebook e Youtube non erano ancora i mezzi collaudati di oggi, eppure quelle immagini fecero il giro del mondo con la stessa velocità di un bolide scagliato in rete al Bernabeu da un 19enne sconosciuto. Adriano Leite Ribeiro, classe 1982, ragazzo in nerazzurro senza paura. Fisico statuario, potenza e agilità: tutto quello che serve nel calcio del 2000 per essere il migliore, il degno erede del Fenomeno. Una stella nascente.

 

Giovane, tatticamente acerbo, brasiliano: l'ennesima favola che inizia nelle peggiori Favelas e finisce in serie A.

 

Nella Fiorentina comincia a carburare, a Parma esplode: l'Inter lo riprende e plasma una squadra attorno al suo numero 10. L'imperatore incanta, i suoi muscoli sono l'incubo di ogni difensore, implacabile di testa. Il coast to coast in quell'Inter-Udinese genera ancora la pelle d'oca. Il punto più alto, quello, di una carriera agli albori, coronata dalla maglia verde-oro, con cui colleziona 49 presenze e 27 goal, una Coppa America e una Confederations Cup da assoluto protagonista.

Ma la favola di Adriano si tinge improvvisamente di un nero atroce: perché anche gli imperatori, in fondo, sono esseri umani, con una storia alle spalle, le proprie insicurezze, i propri capisaldi. Capisaldi che per Adriano coincidono totalmente nella fisionomia nel padre, un uomo con un proiettile in testa da tenere buono con l'alcool, guida e modello assoluto del campione in erba.

 

Nel 2004 la morte del padre coincide con l'inizio di una discesa impetuosa, inizialmente ben celata da una reazione rabbiosa, nonché produttiva, sul campo del Meazza. Ma il colpo è durissimo, lo spettro della depressione lo conquista poco a poco con il profumo letale della vodka e delle donne. Le prime brutte avvisaglie di atteggiamenti pericolosi per un professionista, hanno i colori della Milano by night. La pancia comincia ad aumentare, la voglia di giocare diminuisce: non sono più gli occhi dei tifosi a brillare, ma quelli dei barman quando in discoteca entra l'Imperatore.

 

Il campanello d'allarme suona subito in casa Inter, ad aiutarlo ci provano tutti: Moratti, Mancini, Mourinho, i compagni, i tifosi: quante volte le sbronze smaltite in infermeria sono passate per massaggi muscolari, previa complicità di una stampa che gli è sempre stata addosso.

Appesantito, svogliato, prevedibile, l'Hercules irriverente del Bernabeu è già lontano anni luce: "Per ora smetto, ho perso la felicità di giocare. Non so ancora se starò per uno, due o tre mesi senza giocare, ho intenzione di ripensare alla mia carriera". La scelta di tornare in Brasile si rivelerà una parentesi breve ed effimera.

 

Al Flamengo qualche lampo ai connazionali lo regala, ma l'isola felice dura poco: Adriano torna in Italia, sponda giallo-rossa, dove colleziona 8 imbarazzanti presenze, 0 goal, la leggenda metropolitana di una clausola anti-birra, tante feste, la rescissione. Da quel momento la vita di Adriano seguirà una prassi precisa: ricerca spasmodica di ingaggi da non onorare.

Come al Corinthians, con il pretesto di un infortunio al tendine d'Achille troppo succulento per non cedere ai capricci di un riposo forzato. Cento chili, voci di serate devastanti, foto compromettenti, amicizie pericolosissime. Il campo, manco a dirlo, non lo vede mai: "Per lui non c'è più nulla da fare", tuona il ds dell'ennesima squadra che lo mette alla porta, lasciandolo solo, preda del malessere e dei vizi.

 

Il potenziale campione diventa un bidone, un rammarico senza mezzi termini.

La speranza dell'ennesimo tentativo in 2 divisione francese con il Le Havre, è stata subito spenta dal rischio di una lunga condanna in carcere, 15-25 anni, per l'accusa di traffico di droga e associazione a delinquere. Il mondo del calcio ti volta definitivamente le spalle, se presti i tuoi beni di proprietà ai narcotrafficanti.

 

Per quanto ancora sentiremo parlare di Adriano Leite Ribeiro, stella cadente nata in una notte d'agosto di 15 anni fa? Il calcio ha sempre regalato storie di genio e sregolatezza, eroi dannati, non-esempi al tempo stesso miti: ma gente come George Best non ha mai privato società e tifosi del proprio rendimento in campo. A differenza loro, Adriano si è perso in maniera forse inconsapevole, un "vorrei ma non posso" tristissimo per chi lo vuole a tutti i costi ricordare come un ex campione da rimpiangere, piuttosto che come un bidone da dimenticare.

 

Buon compleanno, Imperatore.