Ne La pressa di Hanta è già stato trattato l’argomento sul paragone tra Maradona e Messi. Anzi, più che sul paragone, sulla sua inopportunità.

Adesso, dopo il traguardo dei 600 goal con la maglia del Barcellona, il numero dieci argentino più discusso degli ultimi decenni è stato nuovamente accostato al suo più illustre predecessore, con tanto di paragoni estesi e rimestati anche ad altri calciatori del passato. Quest’abitudine, ormai ricorrente negli studi televisivi e sui giornali, quanto è realmente convincente? Si può guardare alla grandezza di un calciatore togliendolo al suo tempo per metterlo in un altro? Non si rischia di trascurare uno tra gli aspetti fondamentali del gioco del calcio? La sua mutevolezza. Il futbol ha avuto le sue epoche e, molto probabilmente, continuerà ad averle. Non esiste un sempre del calcio. da più di un secolo il pallone cambia le sue regole, modifica i suoi segni, lavora ai suoi presunti difetti, talvolta combinandosi con le altre dinamiche della vita collettiva, subendo e condizionando gli anni che racchiudono un periodo che la storiografia provvederà a definire soltanto quando quel ciclo di cambiamenti si sarà concluso.

Gli strumenti del calcio subiscono il panta rei come ogni altro fenomeno umano. Persino il suo attrezzo, il pallone, non è stato sempre lo stesso. Ha mutato in materiale, in forma e in peso. E così via il terreno di gioco, le tecniche, le tattiche, la medicina sportiva e tutto quanto rientra nel grande fondo su cui il calcio esibisce se stesso.

Come poter paragonare calciatori diversi nei ruoli, nei periodi in cui hanno giocato, in squadre diverse, in tornei diversi e in condizioni assai distanti nel tempo? C’è chi nelle stesse classifiche – parola francamente biasimabile – inserisce Garrincha e Cruijff, Di Stefano e Beckenbauer, Eusebio e Charlton, solo per citarne alcuni. Nomi di giocatori che hanno segnato epoche diverse con linguaggi diversi. Il dizionario del calcio non si nutre di primati assoluti stabiliti secondo norme relative (che paradosso), ma di una nomenclatura fatta di principi provenienti da tante direzioni, da scuole talvolta opposte, da successi collettivi e da personalità individuali. Persino il racconto della sua storia opera sul calcio tradimenti e omissioni determinati dalla mancanza di testimonianze, documenti di facile accesso, dello stesso assistere ad alcuni calciatori anziché di altri. 

Nessuno sa quanto sarebbe valso un calciatore come Matthias Sindelar, per esempio, se il suo talento avesse avuto modo di esprimersi ai nostri giorni anziché farlo in un’epoca tanto lontana come quella di inizio Novecento. Gli storici più appassionati lo annoverano tra i più grandi, ma la memoria collettiva più ampia a stento lo conosce. Come e quanto lo stesso strumento tecnologico e l’evoluzione dell’accessibilità abbiano potuto incidere sulla memoria e la percezione del gioco del gioco del calcio. Finanche praticarlo non è garanzia di totalità della sua conoscenza.


Il calcio ai tempi dello 0-0

Calciatori come Messi come sarebbero stati negli anni in cui alcuni campionati europei molto importanti, e la Serie A era di certo il più difficile, lo 0-0 risultava spesso un punteggio prevalente e non era una rarità che molte gare finissero con molti 1-0 e con non più di due o tre goal a partita? Il gioco era fortemente condizionato da un’altra cultura della sua pratica tecnica e atletica. I regolamenti distribuivano i cartellini secondo criteri molto più tolleranti. Calciatori come Maradona spesso erano soggetti ad autentici pestaggi. Subivano falli che non venivano nemmeno sanzionati col cartellino giallo, mentre oggi sarebbero da rosso diretto. Oggi, molte partite di allora o finirebbero con punteggi imbarazzanti o l’arbitro sarebbe costretto a sospendere la partita per mancanza del numero legale. E questi aspetti, ovviamente, influivano anche sui sistemi di gioco e sulle strategie tattiche. Il livello difensivo delle squadre di quei campionati era molto più alto, perché la cultura calcistica fondava molto del suo gioco sulla tenuta difensiva, soprattutto in Europa.

Inoltre, in passato la tendenza alla concentrazione dei migliori calciatori in poche squadre era meno forte. anche un grande fuoriclasse restava a lungo in club meno blasonati, a volte portandoli anche a vincere titoli importanti. E, sia ben chiaro, per fuoriclasse s’intendano tanto i giocatori quanto gli allenatori. Il calcio aveva le sue gerarchie di potere, ma la formazione degli organici non era esasperata dall’attuale aristocrazia finanziaria che oggi sostiene una ristrettissima élite di società elette a godere di un diritto privilegiato al successo. Oggi Maradona non potrebbe mai approdare a Napoli, così come Garrincha, Pelé e altri ancora andrebbero a giocare nel Barcellona o nel Real Madrid. Una diversa collocazione cambierebbe la geografia della gloria e degli eventi. E così i giudizi. Ecco che quando un tempo porta con sé una rarità, invece che sforzarsi di compararla a chiunque a tutti i costi, meglio trovare il modo per goderne il più possibile.