Riassumendo: Higuain se n'è andato, Hamsik se n'è andato, e anche Icardi non si sente troppo bene. O, probabilmente, non vede l'ora di andarsene. O, addirittura, già non vedeva l'ora di andar via da un po', considerato che nelle ultime 48 ore abbiamo scoperto che non solo il rapporto con la società è ai minimi termini - ed ai minimi storici - , ma anche quello con il resto della squadra, che avrebbe dovuto guidare, da esempio e capitano, è rovinoso. 

Già, perché se Icardi non è più il capitano dell'Inter la decisione non arriva né esclusivamente dallo spogliatoio, né solo dalla dirigenza. Trattasi di scelta condivisa, da ambo le parti, e mediata dall'avallo di Spalletti.

Che l'argentino non voglia rinnovare, alle condizioni imposte dalla società, è ormai cosa nota e roba vecchia. Marotta, appena ha messo piede a Milano, ha dimostrato di voler gestire la situazione, per quanto non facile, con il pugno di ferro: multe pesanti, dichiarazioni poco accondiscendenti, e soprattutto silenzio.

Quasi tombale, quello proveniente dalla società, nei confronti delle reiterate frecciatine (e frecciatone) partite dalla viva e televisiva voce della compagna e agente del ragazzo. 

Un mutismo che però era sornione, consapevole e senziente. Pronto a esplodere nel fragore di una scelta forse impopolare, ma evidentemente obbligata: mettere al muro, e ai margini, il giocatore.

Marotta, in ogni caso, non avrebbe mai smosso così tanto le acque, senza la consapevolezza di non rischiare nulla.

Ecco perché la sensazione è che i contatti che risalivano alla scorsa estate con la Juventus, e/o quelli, più recenti, con il Real Madrid che deve sostituire Benzema, siano stati rinnovati e proseguiti, evidentemente in maniera proficua. Un Icardi non accontentato sotto il profilo economico, oltre che esautorato del suo ruolo, difficilmente accetterà nel pieno della sua carriera condizioni tali. Né tanto meno l'Inter, che oggi può ricavare dal suo cartellino un centinaio di milioni almeno, sempre a meno che le cose non degenerino ulteriormente. La clausola, ricordiamolo, vale nella prima quindicina di luglio: 110 milioni, provenienti però solo dall'estero. Condizioni che allo stato delle cose è quasi impossibile che vengano modificate con il rinnovo, e l'annullamento (o l'innalzamento, come vorrebbe l'Inter) della suddetta clausola.

Alla data in cui sarà esercitabile mancano 130 giorni circa: sembrerebbero un'eternità, ma in realtà sono un lasso di tempo necessario e sufficiente a imbastire una trattativa e progettare il futuro. Perché l'Inter che verrà sarà sì senza Icardi, ma anche con un grande centravanti al suo posto. Probabilmente più maturo, visto che Lautaro ha un interessante futuro dinanzi a sé: ma non solo sotto il profilo generazionale, e più che altro sotto quello caratteriale. 

Icardi, pur godendo di un credito sostanzialmente illimitato, nei confronti di tifoseria e società, proveniente dalle sue prestazioni sul campo, è riuscito quasi ad azzerarlo gestendosi, e facendosi gestire, male fuori da esso.

Un insieme di atteggiamenti, frasi e scritti, tutti opinabili e polemici, che risalgono ad anni e anni fa. E che non gli hanno mai consentito di vestire, per così tanto tempo, quella fascia dal significato così importante, godendo né di sincero rispetto né di diffusa approvazione.

Tutto iniziò 4 anni fa. L'8 gennaio 2015 si sfidano Inter e Juve, non proprio una partita come le altre. Icardi partito in contropiede non passa la palla al compagno smarcato, conclude malamente alto, Pablo Daniel - non proprio arcinoto per la sua sobria dilpomazia - si incazza di brutto e inizia a rincorrerlo. 

"Se non ci fosse stato Guarin a fermarmi, probabilmente avrei dato un cazzotto in mondovisione a Icardi. In quel momento ci stava"

La società prima lo mette fuori rosa, poi lo allontana dalla Pinetina e gli fa causa. Il 10 febbraio Osvaldo rescinde il suo contratto e torna in Argentina. Da lì alla fine della sua carriera passeranno solo 18 mesi, e una manciatina di gol. 

Mauro, da qualcuno, per la prima volta viene tacciato di essere troppo egoista. Ma per un giovane centravanti come lui, pronto a consacrarsi (a fine stagione segnerà 27 gol totali), per chi lo difende è addirittura un bene.

Certo, non è ancora un uomo squadra, né tanto meno un leader, ma si farà. E così sarà, da lì a un paio d'anni.

Mentre il suo "nemico" Osvaldo è stato ormai definitivamente fatto fuori, però, iniziano anche i suoi, di guai.

“Pezzi di merda, siete dei pezzi di merda”, grida ai suoi tifosi il Maurito furioso, a soli 22 anni. Nel febbraio 2015, in quel di Reggio Emilia, l'Inter perde 3-1 e gli ultras se la prendono con lui e Guarin, a cui restituiscono le maglie lanciate in curva. Da lì in poi, nulla sarà più come prima, almeno con una parte dei suoi sostenitori. 

Un'acredine di fondo che è deflagrata qualche mese dopo, contestualmente alla pubblicazione della sua autobiografia. Sorvolando su quanto sia singolare che un calciatore ne pubblichi una a soli 23 anni, pur senza aver mai vinto alcunché al di fuori di qualche sparuto titolo personale, nel testo è analizzato, a posteriori, l'episodio del Mapei.

"I dirigenti temevano che i tifosi potessero aspettarmi sotto casa per farmela pagare. Ma io ero stato chiaro: “Sono pronto ad affrontarli uno a uno. Forse non sanno che sono cresciuto in uno dei quartieri sudamericani con il più alto tasso di criminalità e di morti ammazzati per strada. Quanti sono? Cinquanta, cento, duecento? Va bene, registra il mio messaggio, e faglielo sentire: porto cento criminali dall’Argentina che li ammazzano lì sul posto, poi vediamo”. Avevo sputato fuori queste frasi esagerate per far capire loro che non ero disposto a farmi piegare dalle minacce […] “Una settimana dopo, un capo storico viene da me: pretende ancora le mie scuse. Io risposi così “Non devo chiedere scusa a nessuno di voi, se vi va bene perfetto, altrimenti ciao”"

Quella frattura non venne più sanata, nella sostanza, ma solo nella forma, come testimoniano gli striscioni che pochi giorni dopo la pubblicazione vengono esposti a San Siro.    

Inter-Cagliari, ottobre 2016, Stadio Giuseppe Meazza (getty)

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Un anno dopo i mugolii, seppur indiretti, vennero invece dall'interno: dopo tre giorni di relax, a cavallo della sosta per le Nazionali, l'allora capitano decide di tornare ad Appiano in elicottero, documentando come sempre il tutto anche via social, in compagnia, immancabile, di Wanda. 

L'ossimoro perfetto: imaginatevi la medesima scena, ritratta sugli account instagram della famiglia Zanetti

Uno - Javier - che nella sua, di autobiografia, scritta al culmine di una carriera che definire epocale risulta addirittura riduttivo, scriveva, invece:

"Il tifoso interista è abituato a soffrire ma non molla mai, non abbandona mai la barca nel momento del bisogno. Il tifoso interista è un innamorato cronico, un passionale, un sanguigno. Ha un carattere argentino. È fedele, appassionato, nel bene e nel male. Ma è anche esigente, così come brillante, intelligente e ironico."

Chissà come l'avranno presa i suoi compagni e l'allenatore: poco importa, evidentemente, alla famiglia Nara-Icardi, che ostentano non solo i propri agi emulando il primo Berlusconi milanista, ma che altrettanto evidentemente non sembrano preoccuparsi in alcun modo di come e se determinati comportamenti possano ricollocare il ruolo di Mauro all'interno dello spogliatoio. Uno spazio sociale in cui, dirà Wanda qualche tempo dopo, Mauro "se vuole può cacciare o portare persone alzando solo un dito".   

Le cose, però, in campo, vanno piuttosto bene. L'Inter è tornata in Champions, grazie ai suoi 29 gol, molti dei quali merito dell'assistenza della squadra. Che viene quindi ripagata con un regalino mica da ridere. Un rolex a testa, tanto per gradire. Nel frattempo l'estate è appena finita, e Mauro, tramite la sua rappresentante, ha trattato con diverse squadre. Lo confessa la stessa Nara, più volte, fino a mettere tutte le carte sul tavolo: "Sul rinnovo con l'Inter siamo lontanissimi. L’offerta non esiste, devo sedermi a parlare con loro e ancora non l’ho fatto. La scorsa estate aveva un piede fuori da Milano, dove volava andare? La domanda giusta è 'dove volevano mandarlo'. Alla Juventus, è stato Mauro a dire no e a voler rimanere all’Inter".

Parte quindi ufficialmente anche la guerra, a mezzo social, tra Maurito e la stampa, mentre Wanda, che intanto allontana ogni possibilità di trovare la quadra contrattuale con Marotta, se la prende praticamente con tutti. 

E, forse, senza rendersene conto.

"Non è la prima partita che si dice di Perisic che gioca male. L’addio? Forse ci sono anche problemi personali".

"Dallo spogliatoio cattiverie su Icardi"

"Non ho mai parlato di rinnovo, quando la società mi ha chiamato era per conoscersi meglio e per parlare di altre cose"

"Vorrei che Mauro fosse più tutelato dalla squadra, perché a volte escono delle cattiverie da dentro" 

"Spalletti doveva mettere Lautaro prima. Ha fatto gol anche per un grande movimento di Mauro. Icardi è stato servito poco in questo periodo"

"Serve gente che metta palloni buoni a Mauro"

"Se mi date da scegliere tra il rinnovo e l’arrivo di uno che gli mette cinque palloni buoni, forse preferisco che Mauro abbia un aiuto in più"

Sono mesi, però, che anche quei pochi "aiuti" che Icardi riceve dai compagni non sa sfruttarli. E' questo, probabilmente, a passare inosservato tanto al diretto interessato, quanto al suo entourage.

Arriviamo quindi a mercoledi mattina. 

Il tweet, ex abrupto, dell'Inter fa più casino e produce più riverbero mediatico del pezzo che Achille Lauro pochi giorni prima aveva portato sul palco dell'Ariston

La fascia passa ad Handanovic: più esperto, più anziano (anche in quanto a militanza interista), probabilmente anche più riservato, rispettato e professionale. Difficilmente, d'altra parte, lo sloveno avrebbe mai portato a casa una multa da 100mila euro per un ritardo in allenamento, cosa successa a Icardi un mesetto fa. Che non la prese bene all'epoca - pare che non sia stata ancora pagata - e che non la prende bene adesso. Si rifiuta di andare insieme alla squadra a Vienna per l'Europa League, per giocare una partita che probabilmente non l'avrebbe visto comunque protagonista. 

Una scelta, forse, più scellerata delle precedenti: se è vero che i tifosi non dovrebbero mai abbandonare i propri idoli nei momenti bui, è altrettanto vero che i capitani de facto non dovrebbero mai scendere dalla nave in mare aperto, per quanto psicologicamente affranti dalla perdita dei gradi. 

A maggior ragione se dopo pochi minuti dopo utilizzano i soliti social per diffondere un messaggio, vagamente retorico, che però è solo un alito di ottimismo che affronta il Buran a ovest degli Urali.

Mauro, quindi, "accetta volentieri le difficoltà e gli ostacoli come passi importanti sulla scala del successo"

Ok, facciamo pure finta di crederci: ma intanto il suo rifiuto, certificato da Spalletti, potrebbe costargli un'altra multa, ma ovviamente non è questo il punto. La differenza la farà il suo modo di vivere i giorni immediatamente successivi a questi.

Icardi, mentre scriviamo - l'editoriale questa settimana viene pubblicato con un paio di giorni d'anticipo rispetto alla routine, per affrontare il tema nella sua pienezza ed attualità - si allena con dedizione ad Appiano, praticamente da solo, e prova anche a superare i postumi di un acciacco alla caviglia. Se non dovesse esserci neanche contro la Sampdoria, però, non sarebbe questa la causa della sua assenza. Dopo la sfida al Rapid la squadra tornerà a Milano, e lì, domani, si faranno i conti. 

Molto, se non tutto, come dicevamo, dipenderà dall'atteggiamento di Mauro. 

A cui ora toccano, con tutta probabilità, gli ultimi 100 giorni di Inter: può affrontarli con voglia di rilanciarsi, attaccamento alla maglia, e rispetto verso le decisioni della società, oppure con lassismo e disaffezione.

A oggi, però, né l'Inter né Icardi possono fare a meno l'uno dell'altra. Icardi deve scrivere il suo futuro nel migliore dei modi, e l'Inter ha bisogno di lui per riconfermarsi in Champions. 

E questo a prescindere da chi vestirà la maglia da capitano, o da chi, tra lui e Lautaro, giocherà di più da vertice del 4-2-3-1. D'altra parte, di capitani, qualsiasi squadra, a ogni livello, e in ogni parte del Mondo, ne ha sempre avuto più di uno. Quello ufficiale, però, lo si riconosce dalla bardatura al braccio. L'altro, invece, il riconoscimento da parte del gruppo deve guadagnarselo, cosa che forse all'epoca Icardi non aveva fatto. E che ora può provare a fare. 

A quel punto i suoi sogni - che descriveva così, nel 2016, per provare a mettere una toppa alla frattura con gli ultras - potrebbero comunque essere realizzati. E quegli abbracci, anche solo per un'ultima volta, nuovamente pronti ad esplodere nel loro sincero calore.

"La fascia da capitano rappresenta la realizzazione dei miei sogni di bambino, la gioia che ho donato prima di tutto alla mia famiglia e poi a me stesso. Siete Voi che io cerco ogni domenica appena faccio gol, è il Vostro abbraccio che io cerco per primo. Perché io amo l'Inter".