Se il romanticismo partenopeo pensa che dalla coscienza di classe alla coscienza sporca il passo sia breve, il “non so cosa sia il Sarrismo” del diretto interessato chiude per sempre l’ultima chiesa e la destina ai suoi cumuli di oggetti in abbandono dentro la sua definitiva sconsacrazione. Si spera finisca presto pure il dibattito frivolo e patetico sulla tuta e sulla cravatta che la solita temperie giornalistica non riesce a mollare sotto i colpi di quella dialettica glamour che manda il pensiero in vetrina.


sarrismo s. m. La concezione del gioco del calcio propugnata dall’allenatore Maurizio Sarri, fondata sulla velocità e la propensione offensiva; per estensione, l’interpretazione della personalità di Sarri come espressione sanguigna dell’anima popolare della città di Napoli e del suo tifo.”

Vocabolario Treccani

I napoletani avrebbero dovuto esultare per l’arrivo di Maurizio Sarri alla Juventus. Se l’acquisto di Higuain, in virtù di come l’attaccante argentino era approdato a Torino, aveva giustamente amareggiato gli appassionati del Ciuccio, il processo del passaggio dell’allenatore toscano in bianconero è una conquista, dalla polarità inversa, che fa onore al luogo in cui per tre anni è avvenuta la gestazione di una parola e di un significato certificati dalla Treccani. La Juventus, che non avrà di certo messo gli occhi su Sarri a partire dalla sua esperienza al Chelsea (la riconoscibilità di Sarri è quella di Napoli), ha comprato, per l’ennesima volta ha comprato, una definizione che questo distacco terminerà o rielaborerà.

“Saremo chiamati a interpretare il sarrismo” ha dichiarato in un’intervista rilasciata al Corriere dello Sport il filosofo Federico Vercellone, Docente di Estetica presso l’Università di Torino e, pare, di fede juventina. Una necessità che risponde all’uso dello strumento o al tentativo di cambiargli identità? Questo, però, è un aspetto che, comunque sarà attraversato dal corso degli eventi, non cambierà le sue origini. L’unica traccia storica registrata resta quella finita più di un anno fa. Ed è proprio quella, a dispetto dei mugugni e dei sarcasmi di vecchi detrattori e a vantaggio di quel marchio che proprio la Treccani ha voluto riconoscere nella definizione di questa parola: “l’interpretazione della personalità di Sarri come espressione sanguigna dell’anima popolare della città di Napoli e del suo tifo”. Sarri ne è uscito congedandosi e ignorando questo elemento. Anzi, tutto l’impianto. E il suo congedo, accompagnato dal suo “non so cosa sia” nell’apparante diplomazia del distacco che ha caratterizzato la conferenza stampa di presentazione, lo porterà a fare i conti – in realtà lo sta già facendo – con tutti quelli che non gli volevano bene. Del resto, non è un mistero che tanti appassionati e tifosi juventini non abbiano gradito fino in fondo la scelta di questo allenatore.

Resta, tuttavia, il rendiconto col passato in abiti del presente. Ed è ancora la Treccani ad avvisarlo con una curiosa e profetica lettura. “E nell’intreccio con Napoli c’entra nulla la tuta che indossa in panchina, spesso feticcio agitato dai suoi haters” si legge nella citazione scelta dal vocabolario attinta da uno scritto di Nicola Sellitti. La Juventus ha assunto e, implicitamente, riqualificato l’emblema, o uno di essi, dell’antipatia, chiamiamola così, nei confronti della rivale degli ultimi anni e lo ha fatto proprio come mezzo di recupero di un rinnovamento del gioco e della propria filosofia, liberando l’altra parte del dubbio se questa fosse ancora degna di tormentare e causare inquietudine alla passione per i propri colori per mano della presenza assenza di una figura divenuta troppo ingombrante, conflittuale, in un paradossale e contrastante eccesso di sentimento popolare. A tal punto, da alterare l’affezione al presente.

Senza volerlo, la parola Napoli è entrata dentro le scelte del più potente. E non lo ha fatto in nome di un’invadente e infondata rivalità, ma attraverso un riconoscimento che ha superato il valore del terreno di gioco e ha affrancato una parte consistente degli appassionati napoletani da una riconoscenza che poco a poco si stava trasformando in una scoria velenosa. Un assedio spirituale al potere che ha messo spalle al muro le derisioni sardoniche di chi denigrava il sarrismo tacciandolo di vittimismo, di ineleganza e di incapacità alla vittoria.

Vittoria, parola complicata. Si racconta che a Nike, dea della vittoria, gli ateniesi avessero tagliato le ali perché non si allontanasse dalla loro città. Oggi, però, la Nike di Samotracia è esposta al Louvre con entrambe le ali, ma senza braccia e senza testa.