Non sono poi così positivi, nel complesso, i segnali per il calcio italiano che arrivano dalla settimana della Supercoppa e del clou del calciomercato. Anzitutto, facciamo parlare il campo: a Jeddah, dove quanto meno abbiamo portato un po' di calcio vero, ed una competizione accesa, certo Milan e Juventus non hanno fornito un gran spettacolo. 

Ci si aspettava, in ogni caso, molto di più soprattutto dai Campioni d'Italia. Anche perché è già cominciato il semestre che dovrebbe portare la Signora anzitutto a chiudere per il campionato - ed entro una 90ina di giorni al massimo - , ma soprattutto è doveroso ricordare che ora manca solo un mese alla sfida all'Atletico. Il primo passo per avanzare verso il vero, ma non unico, obiettivo stagionale: pesante, e con le orecchie grandi. Un tortuoso cammino lungo il quale servirà mettere in gioco energie e doti assai superiori rispetto a quelle sinora immesse sia in Serie A che in Supercoppa. 

Dove, in ogni caso, è stato fatto quasi en-plein: una dimostrazione limpida e cristallina di quale sia il gap tecnico che oggi separa la capolista da ogni sua possibile contendente entro i confini.

Inutile sottolineare come sia ancora più lontana, se possibile, la linea di demarcazione che separa il livello tecnico della Juventus da quello del Milan, che certo non è una sua contendente in campionato: una distanza ampia e sconfinata almeno quanto lo è la legittima fame di vittoria di Cristiano. 

Ma i bianconeri, che giocavano la loro prima finale con un fenomeno in più, erano peraltro opposti ad una squadra che non poteva disporre dal 1' di mezza squadra titolare - Caldara, Conti, Biglia, Bonaventura, Suso e Higuain - e che certo non viveva il suo momento migliore, dentro e fuori dal terreno di gioco. 

Eppure è servito un duplice e contemporaneo lampo - assai isolato, per verità - di Pjanic e dello stesso Ronaldo, per sbloccarla e vincerla, oltre a qualche, dibattuta, scelta arbitrale. 

Tre, sostanzialmente, le accuse al direttore di gara livornese: la diversità di vedute sui falli di Matuidi (che doveva essere almeno ammonito) su Calabria e Kessie (che è stato giustamente espulso) su Can; allo stesso modo, la decisione (sbagliata) di non far proseguire l'azione di Cutrone (in fuorigioco assai dubbio) e invece consentire a Matuidi (in fuorigioco) di concluderla; la scelta di non rivedere neanche il rigore (che poteva starci) di Can su Conti nel finale. Personalmente, resto dell'idea che alcuni errori, seppur grossolani, non debbano necessariamente cambiare il corso delle cose, anche se li si contestualizza nell'arco di 90' di gioco: nella fattispecie, però, considerata l'evoluzione della partita, è legittimo pensare e credere che qualcosa sarebbe potuta accadere, nel caso in cui il direttore di gara e il suo staff avessero optato per scelte diverse. 

Poteva vincerla comunque, il Milan, in definitiva, sovvertendo un pronostico schiacciante? Difficile, ma non impossibile. Anche perché i ragazzi di Gattuso hanno giocato la loro onesta partita, tenendo botta dietro e addirittura sfiorando il gol con una giocata di Cutrone passata, probabilmente, in cavalleria, ma di rara difficoltà: se peraltro quel tiro col piede debole, in contro tempo, con un uomo alle spalle, invece che sulla traversa si fosse insaccato nel sette, oggi peserebbe molto meno anche l'addio, prematuro, di Higuain.

Che forse brucia meno di quello di Bonucci, ma certo è costato di più: questi sei mesi di Pipita (in cui ha segnato mediamente un gol ogni 20 giorni) sono costati ad Ellliott circa 20 milioni lordi, tra prestito oneroso e ingaggio. 

Un'enormità, a maggior ragione se a questa cifra si aggiunge quella che servirà - circa 60 milioni totali - che servirà investire nell'operazione Piatek

Soldi che sarebbero bastati, oltre che serviti, per mettere mano al centrocampo, lì dove il calciomercato a oggi vede disponibili ragazzi come Barella, Tonali e Rabiot, ben più utili al progetto societario. Che, evidentemente, fatica a decidersi di investire su Cutrone: scelta non proprio azzeccata, a mio avviso, ma probabilmente legittimata anche dagli umori della tifoseria. Affranta forse più per l'esito della gara di Jeddah, che per l'addio del proprio numero 9.

Due parole, infine, sono doverose anche in merito alla scelta di Higuain: il fatto stesso che Sarri possa anche scegliere di salutare Hazard - vicino al Real Madrid - pur di riaccoglierlo, la dice lunga sula bontà della sua scelta. 

E' la tempistica, però, che risulta sbagliata, oltre che ingenerosa nei confronti di un popolo che non riusciva a riversare il proprio entusiasmo su un vero numero 9 ormai dai tempi di Inzaghi. Gonzalo sapeva bene che sarebbe andato a giocare in una squadra che, per quanto si potesse migliorare, rispetto allo scorso anno, non poteva e non sa fare miracoli.

La scorsa estate ha deciso di prendersi, calcisticamente, la croce - si fa per dire, con un ingaggio da poco meno di un milione di euro netto al mese - sulle spalle, e provare a combattere la battaglia, per la rivalsa personale, e di squadra, per il ritorno in Champions. Non c'è riuscito, ha fallito miseramente, e s'è ritirato dal campo di battaglia in anticipo, in silenzio, senza neanche una dichiarazione di intenti o un saluto. Certo, qualche parola di circostanza potrebbe anche arrivare, a stretto giro di posta, ma sarà comunque insufficiente, nei confronti sia delle speranze di chi l'ha sostenuto, sia della società, per quanto, finanziariamente, ha creduto in lui. Una decisione, in ogni caso, da persona e da calciatore ambizioso, ma non da vincente. 

Nonostante il suo lungo peregrinare attraverso le big del calcio europeo, e nonostante un rendimento che definire da top player sembra quasi riduttivo, d'altra parte, non sarà un caso se la sua unica finale davvero prestigiosa vinta in carriera, e da protagonista risale al 2014. Giocava nel Napoli, contro la Juventus, a Doha, e con una doppietta sovvertì il pronostico. Esattamente quello che gli chiedeva di fare, a Jeddah, la squadra da cui è fuggito, in una notte d'inverno, e senza neanche salutare nessuno, se non i suoi compagni di squadra e lo staff. Davvero troppo poco, se ti chiami Gonzalo Higuain.