Il Barcellona di Guardiola con Messi.

Prima ancora, quello di Cruijff con Laudrup e Stoichkov.

La prima Roma di Spalletti con Totti.

Il Napoli di Sarri con Mertens.

Per un po' anche la Spagna dei miracoli con Fabregas, e molto tempo prima la grande Ungheria con Hidegkuti.

Fateci caso: sono poche ma, soprattutto, forti. Nel senso letterale della parola.

Le squadre di livello capaci di giocare e vincere giocando con il finto centravanti si contano sulle dita di un paio di mani. E si sono ritrovate a farlo, talvolta, più per necessità che per scelta e convinzione, per quanto l'intuizione tattica sia stata frutto del genio dei rispettivi allenatori.

Una situazione e un caso che, sinceramente, non riesco ad applicare alla Nazionale odierna.

Ci sono alcuni ruoli, nel calcio, che personalmente ritengo imprescindibili. E tra questi, oltre al portiere e ai terzini, ci metto il centravanti. No, non sono un grande sostenitore del vecchio uomo d'area, grande e grosso, capace solo di fare da punto di riferimento statico in area: anzi. Personalmente, al contrario, ho sempre pensato che le squadre migliori siano quelle capaci di giocare non per il proprio centravanti, ma con il proprio centravanti. Un percorso che l'Italia non riesce a fare. E sembra anche voler smettere di provare a fare.

Gol di Biraghi, che però risolve solo i problemi di risultato (getty)

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Per carità: abbiamo vinto in Polonia e ora, almeno così pare, va tutto bene. Non siamo finiti nella Serie B della Nations League - mentre in quella del calcio Mondiale già c'eravamo - e questo è già un traguardo, ma non so con quanto onore l'abbiamo fatto. 

Vero, ieri abbiamo tenuto palla per oltre 2/3 della gara ed abbiam creato almeno 7-8 limpide occasioni da gol: ma sfido un po' chiunque a non riuscirci, in una squadra in cui dalla cintola in su il meno tecnico è Barella. Quello che si fatica a capire è che una squadra che macina gioco (con un regista puro, Jorginho; un portatore di palla, Verratti; una seconda punta tecnica, Insigne; due esterni di piede come Bernardeschi e Chiesa) ma non trova modo di fare gol è una squadra monca. E contro determinate squadre potrebbe esserlo anche di più, rispetto a quella che con Belotti, immobile e Balotelli alternati al centro faticava anche solo a concludere. 

Insomma, c'è poco da essere soddisfatti. La scelta di Mancini di passare al 4-3-3 con due finti nove che si scambiano di posizione (Bernardeschi e Insigne) potrà anche aver prodotto degli entusiasmi, ma non sembra la più lungimirante. Se ieri Biraghi non avesse trovato quella zampata vincente a tempo scaduto, al termine dei primi 180' di test con questa nuova, inedita, impostazione ci saremmo ritrovati con un solo gol fatto, due pareggi, e un pugno di mosche in mano. E, forse, sarebbero iniziati i processi al CT, che ha escluso dal campo e in alcuni casi - vedi Belotti - anche dalle convocazioni i nostri attaccanti migliori.

Intendiamoci: sappiamo tutti che non si tratta di fenomeni. Anzi. Lo dicono i numeri, lo conferma la storia di molti loro (anzi, quasi tutti) con la casacca azzurra addosso. E, in verità, l'ha candidamente ammesso ieri nel post gara anche Verratti. Uno che centravanti non è, ma ormai da anni a questa parte contribuisce alla causa azzurra con scarsa efficacia e partecipazione. Ma che, evidentemente, ha preso atto del fatto che qualcosa, tra questa generazione di ragazzi e l'Italia, continua a non funzionare.

E tra questi problemi c'è, prioritariamente, la mancanza di gol. Attribuibile, in verità, soprattutto alle punte. Ma se in questa fase Immobile, Belotti, Zaza e Balotelli per motivi diversi non sono al massimo della forma, la soluzione non può essere giocare senza centravanti. La cui utilità risiede appunto nell'essere estemporanea ma risolutiva: la presenza in area d'un uomo in grado di raccogliere palle sporche, ribattute, e fare salire la squadra è un requisito di cui soprattutto chi gioca senza incursori di centrocampo non può fare a meno.

E questa squadra, almeno quella vista contro Polonia e Ucraina, non ha uomini che si buttano in mezzo, seguono i cross dagli esterni e i filtranti provenienti dalla trequarti. Produce calcio, sì, ma non lo finalizza. Ed è snervante. Anche perché, volendo chiamare in causa la memoria a breve termine, il riferimento non può non essere quello più eclatante: la squadra che ha vinto i Mondiali lo ha fatto giocando con il signor Olivier Giroud titolare. Zero gol in sette partite in Russia, e un titolo portato a casa da protagonista anche senza mai bucare la rete. Proprio come, 20 anni prima, aveva fatto Stéphane Guivarc’h, uomo d'area scoordinato e sterile, senza peculiarità alcuna che non fosse anche di Giroud. Ovvero, difendere palla, spesso spalle alla porta, far salire la squadra e farsela girare intorno: tutte cose che potrebbero fare anche Balotelli, Zaza, Belotti e Immobile. Perché per quanto possa essere infelice la storia in azzurro di molti di loro, non è oggettivamente sostenibile che si debba giocare senza un centravanti, solo perché quelli che abbiamo non fanno gol e non stanno bene. Sarebbe come rinunciare ad andare dal dentista perché quello che abbiamo non ci sta simpatico. 

Piuttosto, sarebbe il caso di scegliere chi, tra i 4-5 attualmente disponibili, deve e dovrà essere, almeno per un po', il titolare. Perché al momento non esistono gerarchie, in quel ruolo, a differenza di quelle che si stanno cristallizzando sulle ali. Dove - e questo è un merito, oggettivo, di Mancini - finalmente qualcuno ha capito che i migliori tre esterni che abbiamo, e che avremo per i prossimi anni, si chiamano Chiesa, Bernardeschi e Insigne. Non saranno dei potenziali palloni d'oro, ma la loro turnazione può consentirci, contestualmente, di godere sia di rifornimenti al centro sia di conclusioni dalla distanza. E poi c'è questa nuova strutturazione della mediana, con la strana coppia Jorginho-Verratti, che in determinate occasioni può anche essere riproposta perché ci consente di essere padroni del gioco come raramente lo siamo stati in passato.

Insomma, i presupposti per iniziare un nuovo ciclo, stavolta finalmente felice, ci sono tutti oggi e c'erano, come già dicevo, mesi fa. Perché pur non essendo paragonabile a quelle, migliori, del passato, questa generazione di ragazzi ha potenzialità ancora inespresse ma, soprattutto, tante fame di vittorie internazionali che non riesce a saziare a livello di club. Paragonabile alla nostra, probabilmente, se non superiore. Ridiamo un centravanti all'Italia, e continuiamo a crederci, fiduciosi, come sempre. Quasi sempre.