Il Napoli è in stato di psicosi. Da otto giornate di campionato non vince. Nelle ultime dieci ha vinto una volta soltanto. Torino, Spal, Genoa, Bologna, Udinese e Parma, squadre oggettivamente inferiori sul piano tecnico, sono valse quattro punti. Senza considerare i due punti maturati con Atalanta, Roma e Milan, sulla carta di certo non superiori. I partenopei nelle ultime quattro gare casalinghe hanno racimolato due punti. L’ultima vittoria in trasferta risale al 22 settembre. Dopo 17 giornate è più vicina la zona retrocessione che l’Europa. 11 punti dal quarto posto rischiano ormai di essere una sentenza già prima della fine del 2019.

L’esonero di Ancelotti, suonato da uno spartito stonato, alla prima con Gattuso non sembra aver restituito un Napoli presente a se stesso. La gara con il Parma ha visto una squadra vittima di una nevrosi collettiva fatta di vittime e colpevoli dentro gli stessi interpreti. Un arrembaggio caotico e disordinato ha porto il fianco a un Parma che sin dal principio ha compreso come si batte questo Napoli. Una formula che gli avversari stanno applicando a memoria e, spesso, con successo.

Gli azzurri subiscono goal uguali a se stessi, identici, per una statistica della ripetitività che ha dell’inquietante. Il Napoli di quest’anno sta codificando il goal beffa. Contropiedi evitabili, errori che rasentano il mancato rispetto dei fondamentali tecnici, distrazioni e svarioni, senza considerare un’irritante mancanza di grinta, compongono una sintomatologia della gara. Spesso il Napoli sembra non avere il senso della competizione sportiva. Tutti i numeri che fino a pochi mesi fa distinguevano molti calciatori come tra i più efficaci d’Europa sono stati spazzati via in poche settimane. Lo zero si è fiondato sulla media statistica di giocatori che in questo momento non hanno più alcun valore, alcuna incidenza. A escludersi da un atteggiamento talvolta indolente e remissivo è la minoranza di un organico completamente perduto e in balia di qualcosa che trapela con ragioni ingannevoli e soltanto apparentemente chiare. La realtà, forse, è che nessuno, nemmeno il Napoli stesso, ci stia capendo qualcosa.

Da contraltare, paradossalmente, fa una Champions condotta nel migliore dei modi, con una qualificazione agli ottavi raggiunta da imbattuti e nel girone coi campioni d’Europa del Liverpool che al Napoli hanno dovuto cedere quattro punti. Dal punto di vista tattico, della fase offensiva e della tenuta atletica, il Napoli nelle sei gare del girone non ha sbagliato quasi nulla. Le sei partite in Europa si incastrano come un’incredibile anomalia dentro un quadro che in campionato è deprimente. Un Napoli bipolare. Probabilmente, in campionato alcuni frangenti hanno determinato un’incidenza negativa anche a causa di alcuni arbitraggi infelici, ma questo non può, alla lunga, diventare l’alibi per giustificare un andamento che denota la mancanza di stimoli e di determinazione per restare aggrappati alla lotta per la qualificazione in Champions League. Ma, soprattutto, resta da individuare le ragioni di due rendimenti così diversi.

Dovrebbe chiederselo prima di tutto una società che nella notte dell’accesso agli ottavi ha fatto di Ancelotti il capro espiatorio di una situazione che, probabilmente, la società stessa ha contribuito a creare insieme ad alcuni calciatori che col Napoli hanno fatto il loro tempo. E che adesso rischiano di rovinare tutto quello che di buono avevano trasmesso all’affetto di una tifoseria spenta e disincantata. E, a ben riflettere, forse ad aver fatto il suo tempo è proprio De Laurentiis. Si aspetta ancora di comprendere, di avere certezza se questa società abbia o meno il controllo della situazione, se sia in grado di esercitare autorevolezza sui calciatori e se sia in condizione di dettare con serenità tanto i diritti quanto i doveri. Perché la sensazione più forte, adesso, è proprio questa.