“E mo, tutto è fernuto.

Tutto ‘o cantato è stato.”

Enzo Moscato

In un blog recente de La pressa di Hanta era stato sostenuto il suggerimento di non lasciare solo questo Napoli, scongiurando la tentazione di cedere a un abbandono di comodo di quello che, solo perché non funziona più, va buttato via come un ferro vecchio. Tuttavia, qualcosa spinge a rivedere questa necessità. Le ultime prestazioni, le ultime vicende, tutto compresso in un grande stato percettivo, fanno pensare che questo Napoli abbia completamente rinunciato alla difesa di quel diritto che, soprattutto nei confronti della propria tifoseria, fa del sostegno sportivo uno degli elementi fondamentali della propria tavola periodica. La chimica di questo Napoli, però, non parla più a nessuno. Si è isolata definitivamente.

Un isolamento sempre più sospetto, ai limiti della cattiva educazione. E già, perché questa società e questi calciatori non sembrano voler fornire spiegazione alcuna a chi avrebbe diritto ad ascoltarla. I fischi, la disaffezione, la grande tristezza (altro che “grande bellezza”) di una piazza desolata, spaesata, ancor più che arrabbiata, altro non sono che un reclamo, una recriminazione sul cosa sta succedendo. Un’istanza fin troppo tollerante chiede al Napoli le ragioni di un disarmo collettivo che non può essere spiegato soltanto con le uscite sincere e altrettanto disarmate di Gattuso.

Va bene dire quello che si pensa (se dobbiamo crederci), va bene assumersi delle responsabilità, va bene tutto quello che rientra nel campionario sacrificale che, però, sembra assumere i tratti di un rituale più che di una reazione corrispondente a uno stato d’animo reale. Va bene tutto, ma non ci si può accontentare delle solite frasi fatte che ormai si ascoltano troppo spesso in una serie A isterica e frequentemente sollecitata dalla necessità, retorica e superflua, di dirsi continuamente duri e puri. “Ci metto la faccia”, “Dico la verità”, “Mi assumo le responsabilità”, “È colpa mia” et cetera et cetera sono il prontuario di quello che in certi frangenti non basta. A tratti, irrita quanto i cattivi risultati e le cattive prestazioni. Si arriva al punto in cui la concretezza, la consistenza e la tangibilità delle cose non possono essere garantite dalle promesse e dai proclami dell’io e del noi. Quel punto evidenzia contraddizioni e provocazioni che, ora in via involontaria adesso di proposito, sollevano il sospetto per cui anche il manifesto della verità porta con sé l’ombra delle bugie.

La diplomazia e le non verità nel calcio vanno bene quando le cose procedono degnamente, non quando le situazioni si presentano nella maniera peggiore possibile. E certe contraddizioni, adesso, procedono per il peggio in modo ancora più evidente. Il ritiro voluto dai calciatori dopo la sconfitta con la Fiorentina? E quello voluto dopo il pareggio col Salisburgo? Il ritiro ai tempi dell’ultimo Ancelotti ha determinato una reazione che ha gettato benzina sul fuoco. Ora, invece, quello stesso concetto di ritiro si è trasformato in un’azione, in un tentativo di risoluzione. Una risoluzione da uomini tentenna, visto che questo ritiro è durato nemmeno un giorno, presto revocato, pare, su indicazioni dell'allenatore. Poche ore per passare da un opposto all'altro. Stavolta, senza ammutinamenti e altri clamori. 

Probabilmente, l’ennesima dimostrazione di autogestione di un gruppo che da chissà quanto tempo veleggia senza che al timone ci sia la società e senza che la guida tecnica eserciti il carisma e l'autorevolezza necessari. Lo stacco tra la dirigenza e i calciatori si fa sempre più evidente. Come si fa evidente il carico di colpe e di responsabilità difficilmente ripartibile, ma tristemente sopra la testa di tutti.

Gattuso, subito dopo la Fiorentina, ha detto una cosa che è la più importante di tutte. Ha dichiarato che quando giocava e non andava d’accordo con qualcuno, quando scendeva in campo dimenticava tutto e dava il cento per cento per la squadra. Ha detto che, secondo lui, se i calciatori non vanno d’accordo durante la settimana, quando arriva la partita devono mettere da parte il dissidio e pensare soltanto a giocare bene. Evidentemente, anche se su domanda di un giornalista durante la conferenza stampa, la necessità di esprimere in maniera così netta questo concetto deriva da uno stato di cose che non vuole confessare se stesso, ma che vuole mandarsi in campo in tutta la sua insopportabile ambiguità. Il tutti contro tutti che da tempo aleggia sui sospetti di una piazza sconvolta dal ridicolo e dall'inconfessabile sembra non essere più trattenibile in bocca all'ultimo arrivato. 

Non è tutta colpa di Gattuso, non può essere così, ma, con lui il Napoli fino a questo momento sta registrando la media di 0,6 punti a partita, contro l’1,4 del suo predecessore. Quattro sconfitte su cinque gare di campionato. Numeri che, ovviamente, non possono aggredire il lavoro di un allenatore che, come sostenuto già in precedenza, forse non è adatto a questo organico ed è arrivato in un momento troppo sbagliato. Però, questi stessi numeri, insieme a una lunga serie di risvolti e luoghi comuni ormai da sfatare, sono un sintomo di un male che proviene da luoghi ignoti a responsabilità individuali.

Non sappiamo chi e quanti siano, ma, in tutta franchezza, viene da pensare che una parte di questa rosa di calciatori dovrebbe silenziosamente smettere la maglia, piegarla con accortezza e deporla negli armadietti degli spogliatoi come si fa con le bandiere. Ovviamente, un minuto dopo la cessione del testimone a una gestione totalmente nuova e rinnovata dell’impianto dirigenziale. Dalla proprietà alla direzione tecnica. Proprietà che conosce molto bene la regola secondo la quale le dinamiche e i meccanismi che le hanno consegnato a suo tempo un Napoli azzerato, perché da rilanciare sul piano sportivo e sul mercato, possono pure, allo stesso modo, sottrarglielo.

I tifosi? Senza retoriche e senza patetismi, è giusto che vivano liberamente la contemplazione e il giudizio. A proposito, pare che presto potrebbero tornare gli ultrà in curva. Se così dovesse essere, buon per il carisma di uno stadio che fino a qualche tempo fa era considerato tra i più caldi d’Europa, ma che adesso vive uno stato di “depressione” del tifo. Tuttavia, anche su questo viene da riflettere su un atteggiamento che rivelerebbe un comportamento secondo se stessi e per se stessi che, probabilmente, non è così distante da certi individualismi egoistici e di principio che hanno portato il Napoli a tutto questo.

Il verso citato in esergo è di una canzone che a un certo punto dice: “Nun guardà all’acqua d’ammore sporca ‘e saittella”. Traducendo per chi potrebbe non capire, “Ignora l’acqua dell’amore sporco di fogna”. Si spera che presto corra acqua pulita.