Quante squadre avrebbero pareggiato la partita di Bergamo, in Serie A? Quante - ed, eventualmente, quali - squadre avrebbero giocato, con l'uomo in meno, con il 4-2-3, e i soli Pjanic e Can a centrocampo?

E quanti - ed, eventualmente, quali - allenatori avrebbero osato così tanto, nonostante l'Atalanta stessa continuando ad attaccare?

Una, nessuno o centomila?

Non lo so. So solo che oggi il plauso va tanto al Gasperini composto, che con la sua proverbiale lungimiranza ha messo alle strette - primo e unico, sinora, in stagione - la Juventus che può anche permettersi Ronaldo in panchina pur rimanendo tale, quanto all'Allegri furente che, a spron battuto, incita i suoi a non incappare nella prima sconfitta in campionato. Una sconfitta che, a questo punto, è difficile se non impossibile che prima o poi si concretizzi, se non nella sua fase finale, quando i giochi potrebbero esser fatti.

La Juventus non vuole saperne di perdere, questo è evidente. Punta a mettere in freezer lo Scudetto entro febbraio, di modo da potersi poi concentrare sul suo vero, principale, obiettivo stagionale. Non lo stiamo neanche a ripetere, potremmo essere ridondanti.

D'altra parte dietro la bagarre riguarda semmai le altre, quelle che corrono a passo di lumaca, silenti ed equilibrate.

Già, perché se il Napoli, per colpa o per casualità, riesce a perdere in una delle occasioni più uniche che rare in cui la Juventus non vince, certo non può ambire a farle concorrenza. Ma questo, d'altra parte, già lo sapevamo. Così come - nostro malgrado, visto che a perderne è la competitività del nostro campionato - avevamo la sensazione che la Juventus, la partita di ieri, anche sotto di un uomo e di un gol, alla fine non l'avrebbe persa.

E così è stato, anche stavolta. Perché se l'eccezione conferma sempre la regola, la regola non diventerà mai eccezione.

Eccezione vera, che non confermava regola alcuna, erano invece, evidentemente, le buonissime partite giocate dal Milan fino a un paio di mesi fa. Le assenze prolungate di Biglia, Caldara e Bonaventura sono un palliativo, ma non una scusante assoluta, per una squadra che con Higuain, Calhanoglu, Cutrone e Castillejo in campo, contro il Frosinone, non riesce a segnare. Ma, soprattutto, a mettere in campo uno straccio d'idea.

Colpa, anche, della confusione di Gattuso, che ha ceduto troppo facilmente alle sirene di social e tifosi che volevano in campo per forza entrambi gli attaccanti, anche a costo di dislocare, in zone del campo che non sono proprie, diverse altre fonti di gioco (vedi il turco, o lo stesso Suso).

Il tutto, snaturando completamente il 4-3-3 che benino aveva fatto nella fase centrale della sua esperienza da tecnico del Milan. Un'esperienza che è ancora tale solo perché la partita contro la Spal è troppo ravvicinata per puntare all'esonero immediato. Rino è una delle bandiere più fulgide e orgogliose dell'intera storia rossonera, e tale rimarrà a prescindere da come e quando finirà la sua avventura tecnica.

L'impressione, in ogni caso, è che Elliott fin dall'inizio abbia preferito più portare dei monumenti (anche di professionalità) nei ruoli cardine della società che in campo. E la sensazione, di rimando, è che l'addio, a vantaggio di un allenatore molto meno amato, ma più esperto, possa avvenire a prescindere da come andrà contro i ferraresi.

D'altra parte, a tirare le fila del Milan oggi c'è una società di gestione degli investimenti. Che del cuore, a torto o ragione, "poco se ne cale". L'obiettivo è quello di ridare valore ad una società, per poi, magari tra un paio d'anni, rivenderla producendo un profitto. Ma questo, un po' come il fatto che la Juventus anche oggi, in quelle condizioni, non avrebbe perso, sotto sotto lo sapevamo già.