Fabio Quagliarella non è mai stato un calciatore qualsiasi. A fine carriera potrà dire di avere superato quota 200 gol, ma non sarà questo banale dato numerico a fare la differenza.

Perché Fabio Quagliarella ha segnato quasi tutti i suoi gol con uno stile unico, non necessariamente raffinato o stilisticamente impeccabile, anzi. Semplicemente, sono gol alla Quagliarella.

Ovvero, quelli di un giocatore che pur non essendo un fuoriclasse, sin dai tempi in cui, al Chieti, si intuì il suo enorme talento, seppe dare a tutto ciò che faceva un imprint inequivocabile.

Nelle sue conclusioni c'è forza, ma non potenza. Nelle sue volée c'è tecnica, ma non perfezione. Nei suoi tiri dalla grande distanza c'è del genio, ma non lucida follia. Nei suoi movimenti senza palla c'è intelligenza, ma non estro.

Alle porte dei 36 anni, in definitiva, chiuderà oltrepassando i 200 gol in carriera, ma non sarà lo sterile dato numerico a raccontarla. Anzi, saranno i ricordi che avrà lasciato praticamente in ogni città che l'ha ospitato. Soprattutto in quelle - Torino, sponda granata, e Genova, blucerchiata - che hanno avuto l'onore di farlo in ben due, diverse occasioni. E chissà se, dopo aver salutato per la seconda volta la Sampdoria, riuscirà a coronare il sogno di tornare anche nella sua Napoli, da dove dovette venir via, gioco forza, e ingiustamente, nel 2010, che ancora oggi non l'ha dimenticato. 

Chiuderà certamente la stagione vestendo, egregiamente, ancora i colori doriani, nel frattempo. Poi ci penserà su. Perché di scendere di categoria lui non ne ha proprio voglia, anche perché il suo rendimento continua a esser quello di un attaccante top, in Serie A, e anche con una decina d'anni in meno. Ecco perché proverà a portare una volta la Samp in Europa: a gennaio 2016 prese il posto di Eder, che, pur da trascinatore, non ce l'aveva fatta a rimontare il Vojvodina, dopo quel drammatico cappottone di Marassi (0-4) dell'estate precedente. E' da allora che il popolo blucerchiato, pur meritandoselo, non assaggia anche solo un aperitivo, come fu all'epoca, di Europa. Eppure, oggi, con una rosa nuovamente discretamente fornita, sotto il profilo tecnico, e ben allenata, potrebbe ambire eccome alle prime 7 posizioni. Anche solo per rendere omaggio a quanto di buono continua a fare il Quaglia, decisivo anche contro il Bologna, con due giocate essenziali ma, non per questo, banali. 

Come mai ne ha fatte, d'altro canto, in 20 anni di carriera. Fin dall'esordio, in un Torino-Piacenza praticamente insignificante, ai fini della classifica, ma curiosamente deciso da due ex superbomber come Ferrante e Gilardino, all'epoca anch'egli un novellino del grande calcio. 

Che ha, però, solo un anno in più di Quagliarella, ma che s'è ritirato lo scorso anno, dopo un finale non proprio da favola, diviso tra Empoli, Pescara e Spezia. Quando già si intravedeva che fosse un po' arrugginito, e che anche la voglia di spaccare mondo e partita non era più quella dei bei tempi. A differenza sua, che in carriera ha vinto praticamente di tutto e di più, il ragazzo di Castellammare s'è dovuto accontentare - si fa per dire - di qualche Scudetto da co-protagonista in bianconero. Sarà per questo che ancora oggi non smette di avere fame, e di dimostrarlo in campo, ogni giorno di più, e ancora per chissà quanto tempo. Proprio come Totò Di Natale, che di vittorie in vita sua ne ha collezionato ben poche, a differenza dei gol. E che con Quagliarella non condivide solo origini simili, un carattere particolare, e le esperienze comuni, fianco a fianco, all'Udinese e in Nazionale, ma anche la longevità. Elisir di lunga vita, talento innato. E voglia di combattere, finché le ginocchia tengono duro. 

Non proprio cose che farebbe uno qualunque. Pensate due.