Di chances per fare la storia, l'Inter, a Torino, ne ha avute eccome. Ben tre, nitide, chiare.

Anche fortunose, nella loro dinamica costruttiva. Eppure, non ne ha realizzata neanche una.

Di Gagliardini e Politano le più grosse. Occasioni rare, non uniche: e già questo dovrebbe rappresentare un privilegio, a sua volta raro.

Se sbagli, allo Stadium, non ne uscirai vivo. E ancora una volta, quello che già prima era un assioma è diventato gelida realtà.

Due le colpe.

In primis, la scarsa lucidità dei nerazzurri che si sono ritrovati, prima del gol di Mandzukic, a poter sbloccare la gara. In tutta onestà, però, va anche detto che gli ospiti hanno avuto la sfortuna di non vederne capitare neanche una sui piedi di Icardi, altrimenti sarebbe andata diversamente.

Ma c'è dell'altro. Ed è una sensazione, più che un dato analitico o un'opinione fattuale.

Ovvero, l'impressione che, anche nel momento peggiore, non ci sia modo di (ab)battere la Juventus, quanto meno in Italia. Soprattutto quando gioca in casa, difatti, sembra quasi che questa squadra, da anni a questa parte, riesca ad erigere un muro di gomma, spesso e invalicabile, alle spalle di Szczesny.

Chiamatelo fato. Chiamatela anche, volendo, fortuna. Costruite, su questi due eterei sostegni, un bunker fondato sull'affidabilità del portiere, sulla concentrazione dei due centrali, sulla fisicità dei mediani in ripiego, e sulla maturità dei terzini, ed otterrete ciò che gli avversari della Signora sentono di non poter superare in alcun modo. Paradossalmente, ancor meno quando vivono il loro momento migliore, come l'Inter, venerdi sera, durante i primi 55' di partita.

Il resto vien da sé. 

Perché davanti, con un arsenale del genere, qualcosa accadrà.

Prima o poi , difatti, Pjanic inventerà il tiro dalla distanza, Dybala proverà a giro, Ronaldo la rovesciata, Cancelo troverà il cross giusto, Bentancur o Khedira l'inserimento, o Douglas Costa l'accelerata. E poi c'è Mandzukic, il migliore di tutti. Il più freddo, il più utile

Il più amato, probabilmente, e giustamente. Perché Mario, che fino a qualche tempo fa faceva il terzino e l'ala con un cuore più grande solo dei polmoni, ora fa gol. E se anche non fa le biciclette di Ronaldo, segna gol più decisivi del suo compagno di reparto. Quest'anno ne ha già segnati sei, in campionato. E tutti a squadre che occupano la metà superiore della classifica. Non un caso.

In ogni caso, qualsiasi cosa accada, tra quelle sopra elencate, sarà decisiva: lo è stato sempre, sinora, ad esclusione del pareggio contro il Genoa. La classica eccezione che conferma la regola.

Una regola che, però, va a scapito della competizione. Una competizione che, al momento, altro non è che un perenne allenamento per la Juventus, in attesa che giochi le sue partite di Champions.

Un'altra sensazione - dopo quella del muro di gomma di cui sopra - non proprio gradevole, per chi guarda alla Serie A con gli occhi dell'eccitazione sportiva nel senso più puro del termine. Ma, guardando bene, forse anche con l'aria sognante ed ingenua di chi crede che possa esserci un finale diverso. Che alla fine, non viene mai raccontato. 

Figuriamoci realizzato.