Se dopo la tempesta la barca è ancora a galla molto lo si deve al coraggio e alla lucidità del timoniere. A immaginarlo adesso, Carlo Ancelotti, si potrebbe provare a sostituire il suo celebre sopracciglio alzato con la linea degli occhi come quella dell’orizzonte. Dritta e pensierosa, col mento sopra la barra e tanta voglia di silenzio. Nonostante tutto, le parole più lucide dopo Liverpool-Napoli sono state quelle del mister azzurro.  Al Napoli la Champions League non sussurra parole confortevoli. Gioia e ostilità, per una squadra che in quasi tutte le edizioni a cui ha partecipato in questi anni ha mostrato qualità che passano subito sotto il setaccio della critica spietata e affrettata prima di tutto di una parte consistente dei suoi stessi tifosi. Di fatto, l’unico vero spreco è stato quello del girone che sulla carta aveva visto i partenopei (nella stagione 2017\2018) favoriti per il secondo posto. Tuttavia, paradosso vuole che la critica collettiva trascura chi sono stati gli avversari che hanno arrestato il cammino del Napoli in edizioni “funestate” da episodi e combinazioni al limite dell’impossibile. 

Con Mazzarri, dopo il passaggio di un girone allora considerato impossibile (Bayern Monaco, Manchester City e Villareal), il Napoli fu eliminato agli ottavi dal Chelsea, squadra che poi avrebbe vinto quella edizione, ai supplementari di Londra, in complicità con un salvataggio al 90’ di un difensore inglese sulla linea di porta nella gara di andata che, a conti fatti, è valso l’intera posta dei 210 minuti disputati tra prima e seconda partita. E chi fu il calciatore tra i più determinanti a valere quella clamorosa qualificazione a danno del più quotato Manchester City? Hamsik, bistrattato dopo la gara di Liverpool da giudizi ingrati per quanto invece mostrato dallo slovacco nelle precedenti cinque partite. Evidentemente a questo calciatore il carattere sarà andato via da allora. Considerazione che fa ovviamente sorridere.

Nel primo anno di Rafa Benitez, invece, il Napoli ha battuto il record di “assurdità aritmetica” congedandosi da un girone forse ancora più difficile, con Arsenal, Borussia Dortmund (finalista nell’edizione precedente) e Marsiglia, dopo aver raccolto ben 12 punti. Uscire dalla Champions con 12 punti è un record tutt’oggi ineguagliato. Il calcolo della probabilità dice che essere eliminati con quello che è un punteggio da primo posto si aggira intorno a possibilità pari a quelle dei numeri delle lotterie. E anche allora, qualcuno lo ricorderà, dopo aver battuto tutte e tre le avversarie (il Marsiglia battuto due volte), si avanzò qualche dubbio sul carattere e la capacità di affrontare certi momenti. Ancora non si è capito quale carattere occorra per non essere eliminati dalla differenza reti. E pensare che allora il Napoli patì la qualificazione, sempre a vantaggio di Klopp, a causa di un goal segnato nei minuti finali dal Borussia sul campo del Marsiglia.

Al primo anno di Sarri, poi, il Napoli superò il girone, vincendolo, ma fu eliminato agli ottavi dal Real Madrid, la squadra che poi avrebbe vinto l’edizione di quel trofeo. Eppure, anche allora, il Napoli, in vantaggio per 1-0 all’intervallo nella gara di ritorno (1-3 a Madrid), restò in piena corsa per la qualificazione fino al secondo tempo della partita di ritorno, arrendendosi, poi, ai colpi della squadra più forte del mondo.

Quest’anno, invece, la squadra di Ancelotti ha ben “pensato” di riprovare il gusto dell’eliminazione a causa della differenza reti, uscendo dal girone senza, di fatto è così, essere realmente battuto dalle sue avversarie. E già, perché, al di là del calcio mostrato dal Napoli in questi tre mesi di Champions, gli scontri diretti, tra andata e ritorno, in un girone di un livello di altissima e rara difficoltà, ha visto prevalere gli azzurri sul PSG (in relazione al computo dei goal fatti in trasferta), ha visto battere nettamente la Stella Rossa e ha visto pareggiare il conto col Liverpool (un 1-0 per uno tra andata e ritorno). Combinazioni hanno voluto, però, che tutto regolasse la classifica finale con un terzo posto determinato dalla differenza reti. A vantaggio di una squadra che è prima in Premier League (al momento il campionato più difficile del mondo) ed è stata finalista di Champions nella scorsa stagione (ed è accreditata tra le grandi favorite anche quest’anno). Senza trascurare che a Liverpool il Napoli non ha giocato una gara del girone, ma una partita che in fondo può essere considerata un sedicesimo di finale, visto il valore aritmetico del confronto. Uno spareggio con il vantaggio di due risultati su tre, ma con lo svantaggio di giocarlo in trasferta. E non una trasferta qualunque, visto e considerato lo score che conserva il Liverpool sul suo terreno di gioco. Score recente e storico. 

Tuttavia, nonostante le difficoltà tattiche e tutto quello che viene sistematicamente srotolato in maniera ripetitiva, anche ieri il Napoli ha dato vita a una partita in cui ha lottato fino all’ultimo minuto, considerando la grande occasione per Milik al 90’. Tutto sul campo di una squadra che ha superato il girone nonostante abbia maturato ben tre sconfitte. Il Napoli ad Anfield era arrivato imbattuto. Non mi sentirei di giudicare priva di carattere una squadra che in un girone di Champions con Paris Saint Germain, Liverpool e Stella Rossa (squadra difficile da affrontare a Belgrado), arriva imbattuta all’ultima partita, al pari di chi, invece, come il Liverpool, ha costruito la sua qualificazione esclusivamente in casa, collezionando tre figuracce nelle tre trasferte giocate (perché, bene ricordarlo, a Napoli, a Belgrado e a Parigi il Liverpool ha lasciato molto a desiderare). 

Allora, come è possibile che, nonostante tutto questo, a qualificarsi siano stati i reds? Il calcio. Forse è “soltanto” il calcio. Qualcosa che ama servirsi della ripetuta e antica espressione “ma è il calcio”. Un concetto spietato che si poggia su un semplice avverbio. Semplice come a volte soltanto la crudeltà di questo gioco sa essere. Ma questa è una crudeltà che fa parte di questo gioco. Suo diritto genetico. Meno apprezzabile è quella nettezza di giudizio che consola la delusione. Strana maniera di consolarsi.