Se mi trovo a scrivere queste righe alle quattro del mattino, con Iggy Pop e “Lust for Life” in sottofondo, in pieno stile Trainspotting, è essenzialmente per un motivo: sono un tremendo sofista, ed in quanto tale, ogni orario è buono per riflettere. Bene, le mie riflessioni nottambule questa volta si sono “posate” su un argomento abbastanza distante dai massimi sistemi, da Marx e da Kierkegaard: il Fantacalcio. Fra quasi due settimane avremo l’asta e mi ero soffermato a pensare cosa significhi effettivamente fare un Fantacalcio

Siamo arrivati al quinto anno di Fanta, quindi lo sappiamo ormai abbastanza bene, e proverò a portare qui anche la voce dei miei splendidi compagni di avventura da ormai cinque campionati. Fare il Fantacalcio significa intanto prendersi delle responsabilità: sì, volete mettere il peso di dover prendere Ronaldo, ad esempio? 

Non tutti sarebbero in grado di sostenere un onere così grande (a proposito, voglio sgravare i miei colleghi da questo peso: lasciatelo a me, mi sacrifico io e non se ne parla più). Fare il Fantacalcio significa sentirsi dire ogni volta da mogli/mariti, fidanzate/i, madri e chi più ne ha più ne metta le solite cose del tipo “Ma è solo un gioco, che ti interessa!” No, raga’… seriamente, non è solo un gioco: il Fantacalcio ha delle dinamiche a sé, non sottostà a nessuna legge, a nessun pronostico. Il Fantacalcio non è “solo” un gioco perché è un mix di astuzia, abilità nel contrattare, conoscenza, azzardo e competenze matematiche, e ora provate a dire che è solo culo. Fare il Fantacalcio è una malattia, un disturbo bipolare: un momento bestemmi il pantheon egizi e la Trimurti indiana perché hai preso gol dal peggior Gambadilegno del campionato, un attimo dopo corri per casa che in confronto il Mazzone di Atalanta- Brescia aveva reagito come un baronetto inglese. Fare il Fantacalcio non è un gioco perché è come se fra quegli undici giocatori che scegli, ci fossi pure tu, tu che sei il loro unico tifoso, il loro dodicesimo uomo, tu che li incoraggi, li preghi, li rimproveri, li carichi di male parole fino alla settima generazione, ma un secondo dopo te li sposeresti e a culo la sessualità (tua e loro). 

Fare il Fantacalcio non è un gioco perché se vinci, vinci tu. E non è questione di cosa hai vinto, è questione di “fama” e di “gloria”, se di questo si può parlare: per fare un esempio, quando due anni fa ho avuto la fortuna di vincere il mio primo campionato, mia madre istintivamente mi chiese cosa avessi vinto: fu come se mi avesse svegliato dal limbo di vanagloria nel quale mi ero barricato… “Non mi ricordo e non mi interessa per ora, mi interessava solo aver vinto un Campionato e spuntare nell’Albo d’Oro della nostra Lega.”: questa fu la mia lapidaria e piccata risposta alla mia venale genitrice, così, giusto per rendere l’idea. 

Fare il Fantacalcio è una palestra di filosofia stoica: ti aiuta a rassegnarti, a prendere meglio e meno seriosamente gli autogol della vita. Fare il Fantacalcio mette alla prova anche le capacità organizzative di ognuno di noi: trovare LA data, quella per la quale bisogna esserci imprescindibilmente, sarebbe stata una delle dodici fatiche di Ercole, se solo fosse stato ambientato nella modernità. Fare il Fantacalcio è il pretesto per passare un po’ di tempo assieme a persone alle quali vuoi bene per forza di cose, se non altro perché soffrono della tua stessa patologia, e già ti senti meno solo. Fare il Fantacalcio è anche il pretesto per mangiare: sissignori, perché non c’è Asta di Fantacalcio senza una grigliata, una pizza, birra, vino e quello che vi pare. Fare il Fantacalcio sarà un passatempo, ma non sarà mai “solo” quello, e comunque è il passatempo più bello di tutti.

Fare il Fantacalcio è un costante essere in stato interessante: il Fantallenatore aspetta. Aspetta il listone, poi aspetta di fare l’asta, poi aspetta la prima di campionato, poi aspetta che i suoi giocatori gli tolgano le castagne dal fuoco e non gli abbiano fatto fare investimenti a fondo perduto, aspetta il lunedì mattina per poter calcolare la giornata, ma anche per sapere se prendersela con qualcuno (che non ha fatto nulla, beninteso… ha solo avuto la sfortuna di incrociare un fantallenatore sconfitto) o essere ai limiti del melenso con tutti, tutto ciò in un continuo vortice di attese, ogni tanto anche spasmodiche. Fare il Fantacalcio significa stabilire un rapporto di fiducia con i tuoi giocatori, con persone che probabilmente non conoscerai mai, fino a farli diventare parte integrante della famiglia. Sì, perché il fantallenatore, le domeniche, non le passa mai solamente con la famiglia, no, le passa anche con i suoi 25 giocatori, con la sua “seconda famiglia”. Fare il Fantacalcio significa essere allegramente preso in giro per ogni mezzo flop spacciato per campione, ma significa anche vantarsi, con un misto di soddisfazione e commozione, quando la scommessa che tutti ti hanno sbeffeggiato diventa il nuovo crack del campionato. E queste sono soddisfazioni che poche altre cose sanno dare.

Insomma, fare il Fantacalcio significa tutto questo e tanto altro. Adesso, per favore, non cominciate col dire che siamo esagerati, no. Siamo solo dei malati, dei tossici del Fantacalcio, dei deviati ideologici che hanno semplicemente voglia di divertirsi un po’, di scappare dalla quotidianità fingendosi allenatori. Siamo gente da compatire. Probabilmente siamo degli illusi che cercano di difendere un passatempo frivolo e dispendioso, ma a noi va bene così.

P.S.: Come sempre, un “in bocca al lupo” ed un grazie ai miei colleghi di Lega.

Giuseppe, Presidente de - La mia Lega Fantagazzetta 

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