A chi ha corso e corre in silenzio

Le polemiche sulla regolarità del campionato italiano accompagnano la serie A da tanti anni. Lo strumento tecnologico fornisce sempre maggiori elementi di verifica (presunta) e, come prevedibile, aumenta pure il livello di confusione. Una rissa servita ovunque rimbalzi la possibilità di commentare sviste arbitrali e decisioni sbagliate che si trasformano in potenziali episodi decisivi ai fini di un risultato. Oggi, pure col VAR.

Al di là di come ognuno se ne faccia un’idea, giusta o sbagliata, affermarla con certezza, quell’idea, soprattutto se diretta a forti sospetti, senza prove, senza documenti, senza verifiche certe e incontestabili, sarebbe un azzardo punto e basta, anche davanti all’evidenza di alcune tendenze, volendo ammetterle e prenderle in considerazione. Ma sempre tendenze, non certezze. Ivi comprese le appartenenze e le partecipazioni in, sempre presunta, malafede dei media accondiscendenti.

Ogni volta che presto attenzione a questo genere di discussione, oltre ogni caso specifico, riguardante direttamente e generalmente il campionato italiano, mi viene in mente la scena di un film che, perdonate l’accostamento azzardato, racconta la vicenda di un giovane studente statunitense che si trova nel bel mezzo di un intrigo politico e di spionaggio che coinvolge un ex ufficiale delle SS e una potente agenzia di servizi segreti americani. Il maratoneta (Marathon Man), di John Schlesinger, racconta la storia di Thomas Babington "Babe" Levy, interpretato da Dustin Hoffman, finito in una faccenda molto più grande di lui che lo mette faccia a faccia con Laurence Olivier, nei panni di Christian Szell, uno spietato dentista nazista sfuggito alla carcerazione e implicato in un ricco traffico di diamanti. La scena in questione vede Thomas catturato da Szell e condotto sotto i suoi ferri per essere torturato onde rivelargli informazioni utili per recuperare i diamanti. 

Thomas, coinvolto involontariamente a causa dell’attività segreta di su fratello, non conosce queste informazioni e non può rispondere alle domande del crudele medico criminale di guerra. Una domanda in particolare mette in inquieto e disperato imbarazzo Thomas. “È sicuro?”. A più riprese Szell pone al ragazzo questo interrogativo apparentemente semplice ed essenziale, enigmatico e misterioso. “È sicuro?”. Thomas, alternando risposte confuse e sommarie, completamente allo scuro di quello che sta succedendo, si perde dietro a questa strana domanda, bloccandosi e imprigionandosi da solo dentro il terribile momento che sta vivendo, senza provare invece a capire e a guardare quello che prima era stato e ancora è il dottor Szell.

Ecco, quando qualcuno sui giornali o nelle tv si interroga denunciando la presunta irregolarità del campionato italiano, reclamando verità, giustizie o qualunque altra forma di rivelazione, anche un po’ a se stesso, di quello che vorrebbe che il calcio fosse ma che in fondo può essere, mi ricorda uno dei significati, tra i tanti, di quella scena. “È sicuro?”. Ma la questione, o, se vogliamo dire la domanda (con buona pace di Shakespeare) invece che rivolgersi a un adesso per ora privo di risposte adeguate, incapaci di andare oltre i soliti sospetti, non andrebbe forse rivolta a quello che è stato? Quando Szell chiede a Thomas ‘è sicuro?’, Dustin Hoffman, e ogni altro giovane inconsapevole e smarrito capitato su quel lettino, non farebbe meglio a spostare la domanda da quel momento a quello in cui sarebbe più semplice riconoscere l’autore di quell’interrogatorio? Chi è stato Szell? E forse, chissà, Thomas otterrebbe qualche elemento in più per capire chi è adesso. Se ci si chiede "è sicuro?" su qualcosa che è oggi, forse non potrebbe essere utile voltarsi e chiederselo su quello che quel qualcosa è stato ieri?

P.S.

Terrei a specificare ulteriormente che l’adozione della scena citata è strettamente metaforica e allegorica, perché gli argomenti trattati ne Il maratoneta sono estremamente drammatici e delicati. Pertanto, sempre bene chiarirlo, si resti dentro l’interrogativo “È sicuro?”