Saranno destinate a scatenare aspri dibattiti tra gli amanti del calcio le affermazioni contenute all’interno dell’autobiografia di Matias Jesus Almeyda, “Almeyda, Anima e Vita“.

L’ex giocatore argentino, attualmente sulla (pericolante) panchina del River Plate si racconta senza inibizioni né filtri, a partire dalla condotta di vita non proprio esemplare durante la gioventù: “Per tutta la carriera ho fumato dieci sigarette al giorno. Anche l’alcol è stato un problema. Bruciavo tutto negli allenamenti, ma vivevo al limite. Una volta ad Azul, il mio paese, ho bevuto cinque litri di vino, come fosse CocaCola, e sono finito in una specie di coma etilico. Per smaltire, ho corso per cinque chilometri, finché ho visto il sole che girava. Un dottore mi ha fatto 5 ore di flebo. Sarebbe stato uno scandalo, all’epoca giocavo nell’Inter. Quando mi sono svegliato e ho visto tutta la mia famiglia intorno al letto, ho pensato che fosse il mio funerale“.

 

I guai di Almeyda non implicavano soltanto le sue precarie condizioni di salute, ma anche qualcosa di più grande e inquietante: “Alla Lazio si è visto l’Almeyda migliore. A Parma, dopo che avevo litigato con Stefano Tanzi, una volta mi ferma la polizia e mi sequestra la macchina. Giorni dopo, mi sono svegliato e la macchina nuova era sparita dal garage. A Milosevic, lui pure in conflitto con la società e con un contratto alto come il mio, capitava lo stesso. Un giorno mia moglie torna a casa e sente delle voci all’interno. Scappa e chiama la polizia. A casa poi non mancava niente. Ma c’era una manata sulla parete. Fatta con olio di macchina. Un messaggio mafioso. Mia moglie ha avuto un parto prematuro. Dopo il Mondiale ’02 a Parma non sono più tornato“.

 

Non finiscono qui le incredibili rivelazioni di Almeyda, che ricorda gli anni di Parma come “pericolosi” anche per quanto riguarda altri due argomenti scottanti, doping e combine: “A Parma ci facevano una flebo prima delle partite. Dicevano che era un composto di vitamine, ma prima di entrare in campo ero capace di saltare fino al soffitto. Il calciatore non fa domande, ma poi, con gli anni, ci sono casi di ex calciatori morti per problemi al cuore, che soffrono di problemi muscolari e altro. Penso che sia la conseguenza delle cose che gli hanno dato. Sul finire del campionato 2000-01, alcuni compagni del Parma ci hanno detto che i giocatori della Roma volevano che noi perdessimo la partita. Che siccome non giocavamo per nessun obiettivo, era uguale. Io ho detto di no. Sensini, lo stesso. La maggioranza ha risposto così. Ma in campo ho visto che alcuni non correvano come sempre. Allora ho chiesto la sostituzione e me ne sono andato in spogliatoio. Soldi? Non lo so. Loro lo definivano un favore…“.

 

Persona evidentemente assai sensibile, Almeyda ha sofferto – e continua ancora oggi a soffrire – dell’oscuro male della depressione: “È iniziata a Milano. Due infortuni, troppo tempo senza giocare. Pensavo e pensavo. Un giorno non sentivo più la mano, quello dopo avevo perso la sensibilità nella metà del corpo. All’Inter c’era una psicologa. Mi diagnosticò attacchi di panico e prescritto una cura, ma non le ho dato retta. Ho capito che dovevo fare qualcosa quando mia figlia mi ha disegnato come un leone triste e stanco. Da allora tutti i giorni prendo antidepressivi e ansiolitici. Le chiamo le pillole della bontà, mi fanno essere più buono“.

 

Redazione Canale Inter