Estate 1980: un dirigente del Napoli, vecchia bandiera azzurra, vola in Canada per parlare con un giocatore. Lui, il giocatore, è uno di quelli che ha deciso di svernare nei dorati campionati del Nord America, quelli che anni prima avevano accolto a suon di dollari Chinaglia e Pelè e che ai tempi valevano l’Arabia o l’India moderne. Lui, il giocatore, è uno di quelli che aveva fatto la storia del calcio degli anni settanta, perché era uno degli spicchi dell’Arancia Meccanica olandese (quella di Cruijff e Michels, quella delle due finali mondiali perse) nonché parte dell’Ajax che governava l’Europa e che forniva a quella nazionale orange una spina dorsale fatta di corsa, muscoli e tecnica – fatta della totalità del calcio. Sulle prime non ne voleva sapere, lui, il giocatore: troppi pochi soldi rispetto al tranquillo Canadà. Quel dirigente, però, aveva ormai deciso che sarebbe stato lui, il giocatore, l’acquisto pregiato da sfoggiare in Italia. E allora, dopo chiacchierate notturne e trattative diurne, arriva l’accordo: prima per il prestito, poi per l’acquisto a titolo definitivo. Antonio Juliano stacca un assegno da 110 milioni ai Vancouver Whitecaps, e lui, Rudi Krol, diventa un giocatore del Napoli.

 

Quando atterra a Capodichino, ci sono diecimila persone ad attenderlo. E un San Paolo pieno alla sua prima in azzurro, l’amichevole contro la Pistoiese, come sarebbe stato tutto l’anno, visto che fu uno di quegli acquisti che fanno volare le campagne abbonamenti. Eppure da molti Krol era dato per finito, a 31 anni. E proprio per questo, forse, l’idea di reinventarlo: di abbandonare le scorribande da terzino sulla corsia di sinistra, e metterlo al servizio della squadra in uno dei ruoli più delicati: il libero, davanti al portiere, ultimo baluardo di ogni difesa e primo lume di ogni attacco. E Krol sembrava esserne l’incarnazione perfetta: preciso ed elegante in ogni intervento, dalla scivolata sempre efficace e mai cattiva al lancio di sinistro che pareva telecomandato: gli attaccanti, sessanta metri più in là, si ritrovavano il pallone perfetto, sui piedi o sulla corsa, stupiti neanche fosse una magia.

 

È il primo Napoli di Marchesi, una squadra a cui, ad inizio anno, non erano date grandi speranze per la corsa al massimo risultato in Serie A. E invece, grazie alla testardaggine e alle intuizioni del tecnico, i risultati arrivarono. Fu proprio di Marchesi il merito di saper cucire il vestito nuovo addosso a Krol, dandogli una tabella di lavoro personalizzata per recuperare la forma giusta per il campionato italiano. Per l’ex Ajax, reduce dei durissimi allenamenti olandesi, sarà stato un ritorno al passato: con dedizione al lavoro esemplare, Napoli trovò un nuovo leader. I risultati, che all’inizio scarseggiavano, cominciarono ad arrivare, soprattutto nel girone di ritorno. E arrivò anche il primo, e unico, gol di Krol con la maglia azzurra: è il 5 aprile 1981, il Napoli vince 2-1 a Brescia. A maggio si sarebbe votato il referendum sull’aborto: sui muri della città comparve il più convincente dei messaggi: “Tifoso che voti per l’aborto, pensaci: e se la mamma di Krol avesse abortito?”.

 

 

La settimana dopo il Napoli vince la trasferta contro il Torino. Vince pure la Juventus a Pistoia, e la Roma capolista si fa fermare in casa dalla Fiorentina. La nuova classifica recita: Roma, Juventus, Napoli 35. Alla fine del campionato mancano cinque giornate, e a Napoli non pare vero di poter pensare concretamente allo scudetto. Invece è quasi un obbligo: perché c’è Krol, e perché il calendario permette di sognare in grande – anche perché la prima delle ultime cinque è in casa, contro il Perugia già retrocesso. Una partita che sa di passeggiata, e che invece diventa la Caporetto azzurra: al primo minuto Ferrario segna il più sfortunato degli autogol, e per i novanta successivi il Napoli prova tutti gli assalti possibili, dalle cannonate all’arma bianca, affidandosi soprattutto al piede sinistro del tulipano azzurro, ma non riesce mai a superare l’incredibile Malizia nel dies mirabilis della sua carriera. Sarà colpo letale, anche per il morale: nelle ultime quattro il Napoli mette insieme la miseria di tre punti: vittoria contro il Como, pareggio con la Fiorentina, sconfitte a Udine e nello scontro diretto con la Juventus, che alla fine si cuce in petto il tricolore: gli azzurri chiudono terzi dietro alla Roma. E come si ricorda sempre, alla fine di quel campionato qualcuno scrisse, citando Anna Maria Ortese, “lo scudetto è un mare che non bagna Napoli”.

 

 

Krol rimase a Napoli anche per i tre anni successivi: Marchese andò via nell’82 per poi ritornare a metà del campionato ‘83/’84, quando il libero che lui stesso aveva contribuito a creare stava facendo i conti con un brutto infortunio al menisco che lo tenne lontano dai campi e che lo costrinse a dire addio alla Serie A, e all'azzurro. A fine stagione, Krol si trasferì a Cannes per chiudere la carriera: a 35 anni, dopo quattro anni da idolo sotto al Vesuvio. Napoli rimase orfana, ma solo per pochi giorni: il 5 luglio del 1984 settantamila persone pagarono mille lire per accogliere la Storia al San Paolo. E molti pensarono, fra entusiasmo e rimpianti, che sarebbe stato bello vedere il sinistro di Rudi lanciare il sinistro di Diego. Come se fossero l’uno il prolungamento dell’altro.

 

Antonio Cristiano