Non avrà firmato i suoi contratti presso la baia di Monterey, non avrà impugnato le spade e i fucili, e non avrà difeso a tutti i costi la corvetta Santa Rosa. Ma come l’eroe argentino Hippolyte de Bouchard, pure il maestro del futbol in questione offrì la sua perizia a tutte le maglie che seppe indossare, cucendosi ogni volta la stoffa addosso come una bandiera.

 

Non avrà assistito alle violazioni di Plaza de Mayo, pure se aveva 3 anni quando l’Argentina si aggiudicò il mondiale dei desaparecidos sorvolando crudelmente sulle dignità e sui diritti. I suoi primi passi si mossero durante la rimozione della giunta di Videla, durante il processo a un governo sanguinario, e forse pure per questo sulla sua faccia dovettero disegnarsi i lineamenti di un corsaro, di un pirata caraibico sfuggito a mille tentativi di cattura. Come tutta l’Argentina riemersa dagli orrori del suo Novecento, pure lui assunse i tratti creoli dei primordi del pallone.

 

Sì, proprio così, la sua faccia pare quella di un pirata. Gli manca la benda all’occhio e il teschio sul petto. Eppure, nonostante il suo aspetto di guerrigliero dal cuore buono, Juan Sebastian Veron è stato tra i più grandi interpreti del calcio argentino negli ultimi vent’anni. Il suo monitoraggio a tutto campo gli ha consentito di navigare a vista in una specie di rappresentazione totale di una maniera di giocare che non mostrava le caratteristiche tipiche dell’artistica albiceleste, ma pure del piglio crudo ed essenziale della filosofia europea. Veron è stato tutto il pallone come il pallone si è presentato. Tecnica pura, visione di gioco, fantasia, coraggio, fisicità, altruismo e personalità. Il suo numero 10 ha rappresentato la fusione di due scuole, con la rara capacità di riuscire ad evitare gli aspetti deboli e discutibili di entrambe.

 

Sin dai tempi dell’Estudiantes, passando per il Boca Juniors, approdando in Italia alla Samp, Juan Sebastian Veron è stato il manuale della costruzione del goal, il fondamento per la manovra perfetta. Non avrebbe potuto essere altrimenti. Padre e fratello calciatori, Veron è cresciuto col pallone primo codice familiare. La Bruja, la Strega, così lo hanno soprannominato, già prima che il suo soprannome diventasse celebre grazie ai suoi successi.

 

Sampdoria, Parma, Lazio, Manchester United, Chelsea e Inter sono state le sue esperienze europee, corpo centrale di una carriera che lo ha visto vincere quattro volte la Coppa Italia, due volte lo scudetto, due volte la Supercoppa italiana, un campionato inglese, due campionati argentini, una Coppa UEFA, una Supercoppa UEFA e una Coppa Libertadores, oltre a una lunga serie di prestigiosi riconoscimenti individuali. Veron è stato come il suo “antenato” Bouchard. Ha condotto con fierezza ovunque gli chiedessero di farlo, lasciando il segno anche umanamente, grazie al suo spirito che pure senza avergli mai affidato una bandiera unica, ha fatto sì che tutti potessero volergli bene. Già dagli anni di quando era studente, Juan Sebastian amava interessarsi di politica, andando fiero dell’anagrafe argentina del Che e di un nomignolo che si porta appresso con discrezione.

 

 

I suoi trasferimenti, sin dai tempi del suo arrivo a Genova, aumentarono di volta in volta, fino ai 77 milioni di sterline che il Manchester United versò alla Lazio per uno degli acquisti più costosi della storia dei red evils. Quando nel 2012 è tornato a Roma per ricevere un premio direttamente dalle mani del sindaco della città capitolina, il suo ritiro, più volte avanzato e revocato, era ormai prossimo.

 

Qualcuno vocifera che potrebbe tornare a giocare, pure a un’età nella quale è meglio starsene a fare il dirigente. Ma chissà che un giorno Veron non interpreti pure la leggenda dell’ombù, l’albero che in Argentina cresce in luoghi piuttosto deserti. Secondo una fiaba quest’albero nacque da una preghiera di una ragazza che per fare riparo al grano si tramutò in un grande albero e non fu più trovata. I grandi calciatori sembra di vederli in campo anche dopo che hanno smesso di giocare. Sono come le origini dell’ombù. Ci sono e non ci sono. E poi meglio non sottovalutare il soprannome di Veron. Le streghe riservano sempre incantesimi imprevisti.

 

 

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka